"Non siamo mai soli al mondo, lo diventiamo se smettiamo di ascoltare e se ci asserviamo alla fretta, il vizio capitale del nostro tempo, se ci lasciamo sedurre dalla facile idea che la felicità sia da ricercare, non qualcosa a cui prestare attenzione". Lorenzo Marone ha scritto un romanzo dolcissimo, pieno di sentimento, di poesia, di nostalgia, di dolore e speranza. Le parole, gli aggettivi, sono scelti con cura, ogni frase poteva essere scritta solo ed esattamente così. Il linguaggio è melodioso, ricco di armonia, commovente, emozionante, con punte di lirismo nelle descrizioni di luoghi e dei sentimenti. I personaggi, decritti con empatia, ti pare di vederli, di conoscerli, di ascoltare le loro parole ed i loro pensieri. Eppure di nessuno è rivelato il nome. Perché la montagna "spoglia dalle cose inutili". Perché quando si vive immersi nella natura, quando si vive per l'essenziale, un nome non serve, serve chi e cosa sei. E così conosciamo una donna, la
"Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta" Ugo Foscolo. Questo è il messaggio forte che arriva da questo romanzo. "Il mio bisnonno Costì mi ha insegnato che nomi e parentele servono a costruire l'albero genealogico, ma poi bisogna riempirlo di vite e di affetti per trasformarlo in famiglia..." È la storia della famiglia De Santis, dei loro luoghi, delle loro vite, dalla fine del 1700 fino ai nostri giorni, per ben nove generazioni. È un romanzo che è un tuffo nella storia, che narra gli eventi salienti accaduti nel corso di questi tre secoli. E, parallelamente, descrive i mutamenti nella società, il progresso scientifico, le scoperte, le invenzioni che in questo lungo periodo ci sono stati. Tanti i personaggi, tutti ben caratterizzati e descritti. E tante le donne, forti, decise, volitive, consapevoli, rispettate ed amate, determinanti nei momenti cruciali della famiglia, anche quelle dei secoli passati, a dispetto di un'epoca che le vol
“In una giornata di maggio, sotto un cielo chiaro ove correva un gran vento fresco, io ho messo il piede sulla nave asilo Caracciolo che profila le sue grandi linee nel nostro porto militare e ho sentito il mio spirito preso, attratto e vinto dalla grande idea che ne ha fatto la casa e la scuola, sul mare e pel mare, dei poveri monelli napoletani, dei poveri scugnizzi dai visi olivastri, dalle membra scarne” Matilde Serao. Voglio dire " Grazie!" ad Antonella Ossorio per aver scritto "I bambini del maestrale". "Grazie!" per questo racconto così denso di storia, di realtà e di magia, di sentimenti, di poesia e di bellezza. "Grazie!" per avermi fatto conoscere la storia di Giulia Civita Franceschi e della sua avventura sulla nave Caracciolo negli anni tra il 1913 e il 1928, quella nave che leggendo sono riuscita a vedere lì, attraccata al porto di Napoli per accogliere gli scugnizzi, scolarizzarli, avviarli ad un mestiere, ma soprattutto per r
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