La compagnia delle anime finte - Wanda Marasco
Visionario, potente, intenso, graffia l'anima. Scritto con un linguaggio lirico, incantatore, che mescola dialetto e poesia. Luci ed ombre, passato e presente, vita e morte si confondono in questo romanzo che appare avvolto da una luce che illumina o nasconde, chiarisce o abbaglia, avvicina o allontana come la luce di "Una lampada immaginatrice che fascia il vico e la casa". È la storia di tre generazioni di donne, madri e figlie, forti quasi crudeli, impietose, disperate, perchè sempre, in ogni epoca ed in ogni dove sono le donne le prime vittime della miseria, del degrado, delle convenzioni. Le figure maschili sono marginali, meschine, inconsistenti. "«Ma' ti devo dire una cosa ». Non sono io che parlo. È la paura. Sta passando un respiro impaurito tra il suo corpo e il mio". Rosa assiste la madre morente e ricorda, dando voce ai pensieri, ai ricordi, ai dolori della madre. Come se i pensieri della donna morente le parlassero, Rosa accoglie, immaginandoli come se li avesse vissuti, "i racconti tenuti dentro come una vergogna" per tutta la sua esistenza. " Non lo so se questa è la tua vera storia, ma sto imparando a costruirne una che ti somiglia”. Vincenzina, la mamma, di umilissime origini, con un'infanzia segnata dalla durezza generata dalla privazione, figlia a sua volta di una donna che di fronte ai dolori della vita aveva finito con l' "ammalarsi di vendetta"; Vincenzina, "venuta dal niente e dalla paura" che sposa, nonostante l'opposizione della famiglia, Rafele, che appartiene ad una famiglia borghese benestante; Rafele "Un uomo venuto dalla caduta e dalla viltà, quando la storia aveva già annientato ed umiliato gli uomini". Nonostante il "buon matrimonio" la vita di Vincenzina non cambia, resta una lotta per la sopravvivenza, ancora più aspra perché ora ha i suoi figli da crescere e da difendere dal mondo, sempre con lo spettro della miseria e con le difficoltà della realtà del vico. Nel vico, cresce Rosa con i suoi fratelli, in uno di quei vichi dove miseria, superstizione, violenza, sesso, usura, stupri sono pane quotidiano. Nel vico, dove cerca "la realtà della miseria e del sogno, come una specchiatura". Nel vico che pullula di vite che si intrecciano, dove convivono i piu disparati personaggi, ognuno con la sua storia, ognuno con la sua lotta, ognuno con la sua anima finta, come Mariomaria "la creatura che ha dentro di sé una preghiera rovesciata". Come in un parto al contrario, la storia della madre entra chiara dentro la figlia e la figlia, mai come adesso la vede e la comprende. “Mi hai picchiata. I tuoi rari baci erano timidi, trattenuti da un respiro impaurito. Mi hai convogliata di nuovo nel tuo ventre. Il pathos, per un pelo, non è diventato pazzia. […] Le tue labbra non erano umane e la tua carne non era materna. Cassetto dopo cassetto, ho ritrovato le tue mutande da clown, lasche e bianche. La tua vagina ci stava dentro con un odore di piscio e di talco. Avevi un piccolo naso pendente, eri comica e randagia nel cammino. Inventavi animali fiabeschi. Piangevi come i bicchieri sotto la fontana. Sgocciolavi le mammelle bagnate nel lavatoio. Manovravi l'inverno davanti alle lastre e alla pioggia di Capodimonte. Intuivi spietatamente i pericoli. Ti era affiorata una vena sfumata sul collo. Qualche volta volevi ridere, più spesso tremavi.”
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