Vita - Melania Mazzucco

 Una volta il papà dell'autrice le disse: "ricordati di ricordare": così è nato Vita, per rimediare al "delitto" dell'oblio. Con tenacia e pazienza la Mazzucco ha raccolto "ciò che resta di una vita quando non resta niente": foto, cartoline, documenti, ritagli di giornali; ha fatto ricerche, intervistato parenti, conoscenti, visitato archivi, anagrafi, studiato censimenti e liste di passeggeri. Così ha ricostruito storie di vita di uomini e donne che, come lei stessa dice nella postfazione "credevano di non essere importanti. Erano persone umili.....senza voce. Destinate a non lasciare traccia, come se non fossero mai esistite". Vita è il racconto della sua famiglia emigrata in cerca del sogno americano. È il racconto di tante vite; è la narrazione dell'emigrazione, questa pagina della nostra storia cancellata, rimossa, sepolta, relegata nell'oblio, al punto da non riuscire a capire chi, oggi, "è disposto a morire per vivere". È lo sforzo di recuperare il passato, la memoria di famiglia, di ricostruirlo partendo da un mucchio di macerie, tentativo arduo, impossibile. E allora ben vengano l'immaginazione, la fantasia,la leggenda, che affiancano la ricerca storica per ridare vita e voce a chi non c'è più, per dare un senso a ciò che hanno vissuto. È la storia di "una bambina dai capelli color inchiostro" ed "un ragazzino che non possiede nient'altro che un berretto con la visiera, la federa di un cuscino pieno di cianfrusaglie e il suo sorriso" che "Non avevano niente da perdere e tutto da trovare". È la storia di Vita e Diamante. Vita, che non faceva progetti, che "non voleva vivere nel passato, né nel futuro. Viveva nel presente". Vita che possiede "quell'essere dimentichi di sé che è il segreto di ogni spontaneità e ne costituisce il più grande mistero. Quel perfetto, straordinario essere tutt'uno con se stessi [....] Non c'era nulla di più bello che vedere una persona così sprofondata in se stessa". Vita, "soffice e compatta", "flessibile e salda", "filo caldo e tenace" capace di tenere unito chiunque alla "parte più autentica di se stesso". Diamante a cui "suo padre aveva affidato il compito di realizzare la vita che lui non aveva potuto vivere. Era un fardello pesante, ma il ragazzino non lo sapeva". Diamante che "è duro, non lo tagli né col coltello, né con la dinamite"; un uomo che "a forza di tenere i piedi per terra" ha "perso le ali". "io ero sempre altrove. Finchè non ero più da nessuna parte e se non sono riusciti a uccidermi è stato semplicemente perchè ero già morto. Come i morti che si spintonano sui tram, che sgomitano negli uffici, nei viali, nei cinema, nelle chiese. Che si scambiano parole consunte - che non sanno e non vogliono sapere. Che si illudono di sopravvivere ai loro corpi morti, alle loro morti anime, ai loro morti pensieri. Sono stato assassinato dalla miseria, dalla mediocrità, dalla prepotenza, dalla tirannia della necessità e del bisogno". Diamante che tornato in Italia ha "distrutto tutto ciò che gli ricordava l'altro Diamante, quello che era stato e che non aveva voluto continuare ad essere. Non voleva essere sfiorato dai rimpianti né dal dubbio di aver fatto la scelta sbagliata. Aveva costruito la sua vita e la sua famiglia sulla necessità di quel ritorno". Vita porta il suo destino nel suo nome; Diamante invece sopravvive. Il romanzo a tratti scorre un po' lento, i salti temporali, tra flash back ed anticipazioni, confondono un po', ed i capitoli in cui l'autrice descrive le ricerche tolgono continuità e respiro al racconto. Un racconto che comunque è emozionante, dolce e amaro, pieno di speranze e crudeli delusioni, di amore e tradimenti, di sogni e realtà. 

 “La vita è adesso. Non nel futuro, che potrebbe non venire, non nel passato, che s'è dissolto - siamo noi, qui, ora".

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