L'Avversario - Emmanuel Carrère
"Ho pensato che scrivere questa storia non poteva essere altro che un crimine o una preghiera" - scrive Carrère.
Non mi è parso né l'uno né l'altro.È la storia di Jean-Claude Romand che il 9 gennaio 1993 uccide la moglie, i due figlioletti ed i suoi genitori, insieme al loro cane, dopo una vita di bugie, inganni, truffe, incredibilmente ed assurdamente mai scoperti.
Le premesse per un ottimo romanzo ci sono: l'Autore invia una lettera all'assassino per chiedergli di poter scrivere di lui.
"Desidero farle capire che a spingermi verso di lei non è una curiosità malsana o il gusto del sensazionale. Ai miei occhi, ciò che lei ha fatto non è il gesto di un comune criminale, né di un pazzo, ma di un uomo spinto agli estremi da forze che non controlla, e vorrei mostrare all’opera proprio quelle terribili forze.”
È evidente la volontà di Carrère di immedesimarsi in qualche modo in Jean-Claude, già dalle prime parole, quando mette in parallelo ciò che accade nella sua vita mentre Jean-Claude commette i suoi delitti.
"La mattina del sabato 9 gennaio 1993, mentre Jean-Claude Romand uccideva sua moglie e i suoi figli, io ero a una riunione all'asilo di Gabriel, il mio figlio maggiore, insieme a tutta la famiglia. Gabriel aveva 5 anni, la stessa età di Antoine Romand...".
Per "mostrare all’opera quelle terribili forze" Carrère prova a ripercorrere i luoghi di Romand: "Ricalcando i suoi passi provavo pietà, una straziante simpatia per quell’uomo che aveva errato senza meta, anno dopo anno, chiuso nel suo assurdo segreto, un segreto che non poteva confidare a nessuno e che nessuno doveva conoscere, pena la morte" e ancora "mi premeva davvero sapere che cosa gli passasse per la testa durante le giornate in cui gli altri lo credevano in ufficio ...".
Per poi concludere
"Mentre tornavo a Parigi per rimettermi a lavoro, non vedevo più ombra di mistero nella sua lunga impostura, ma solo una misera commiserazione di cecità, disperazione e vigliaccheria...".
La sensazione è che manca qualcosa in questa storia, qualcosa che ne faccia più di un racconto di un caso di cronaca nera con relativo processo.
D'altra parte lo stesso Autore confida che la stesura del romanzo ha avuto momenti di crisi e battute d'arresto: evidentemente non è stato facile.
Ma, al di là dello stile agile e asciutto, che rende rapida la lettura e che tiene desta l'attenzione, troppe pagine sulla vicenda e sul processo e poche sull'aspetto psicologico dell'assassino: un uomo "invisibile", tanto poco interessante agli occhi degli altri, che può mentire e fingere per anni senza che nessuno se ne accorga, si faccia o gli faccia delle domande, mostrando reale interesse verso di lui, la sua vita...
Un narcisista patologico ai limiti con la schizofrenia, scollato dalla realtà, senza un "Io". Tanto ci sarebbe da dire sul profilo psicopatologico del Romand...
Un' ultima considerazione sul titolo "l'Avversario " chiaramente riferito al "diavolo" , ma che richiama alla mente il lato oscuro di ciascun individuo, l'Ombra di Jung.
Fin qui le mie sensazioni "a caldo", quelle che annoto appena chiuso il libro.
Dopo alcune ore di sedimentazione, le parole di Carrère continuano a lavorare. E realizzo che la grandezza di questo scritto sta nel restare sempre in bilico, tenendovi anche il lettore, tra un senso di assurda ed angosciante empatia e di ovvio orrore, di volontà di perdono e di necessaria e inevitabile condanna...
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