La donna degli alberi - Lorenzo Marone Recensione
"Non siamo mai soli al mondo, lo diventiamo se smettiamo di ascoltare e se ci asserviamo alla fretta, il vizio capitale del nostro tempo, se ci lasciamo sedurre dalla facile idea che la felicità sia da ricercare, non qualcosa a cui prestare attenzione".
Lorenzo Marone ha scritto un romanzo dolcissimo, pieno di sentimento, di poesia, di nostalgia, di dolore e speranza. Le parole, gli aggettivi, sono scelti con cura, ogni frase poteva essere scritta solo ed esattamente così. Il linguaggio è melodioso, ricco di armonia, commovente, emozionante, con punte di lirismo nelle descrizioni di luoghi e dei sentimenti. I personaggi, decritti con empatia, ti pare di vederli, di conoscerli, di ascoltare le loro parole ed i loro pensieri. Eppure di nessuno è rivelato il nome. Perché la montagna "spoglia dalle cose inutili". Perché quando si vive immersi nella natura, quando si vive per l'essenziale, un nome non serve, serve chi e cosa sei. E così conosciamo una donna, la Donna degli alberi, la protagonista della storia che lascia la sua casa, le sue comode abitudini, i suoi dolori, le sue mancanze, le aspettative, le delusioni, per andare a stare un intero anno in montagna, con un patto da onorare: imparare "a stare, senza rimpianti, senza voler essere sempre altrove". Lascia la città, decide "di deporre le armi e non procurarmi battaglia, cerco la pace che segue la sconfitta, non la rassegnazione, ma la ricompensa. Sono animale che torna al nido", in cerca della possibilità di "disimparare per fare cose nuove". Su quella montagna, lì dove da bambina andava con i suoi genitori, dove la sera " il buio porta le storie e un abbozzo di tregua", dove tutto le ricorda la sua infanzia, la felicità di un età innocente e completa, in cui non mancava nulla e tutto era possibile, tutto doveva ancora accadere; lassù dove tutto le ricorda il padre e la madre, dove "il ricordo si prende il fiato". La Donna degli alberi è una donna incapace di amarsi, indifesa "alla ricerca dell'armatura che aiuti a trovare un posto nel mondo". Una donna che coltiva "la consuetudine di molti, in fondo, aspetto di vivere, o di tornare a farlo, alleno la pazienza e imparo a divenire". Sempre con una corazza a protezione "che non protegge mai davvero nessuno". In montagna incontra l'amore: un amore "scombinato che si nutre di voragini e toglie l'erba gramigna dalle crepe che le parole lasciano sulla carne". Ma trova anche altro dolore. Ed incontra gli abitanti del Monte, accomunati dalla “necessità di trovare riparo alle anime rotte, l'obbligo di occupare lo spazio che le ferite lasciano nelle persone, la maledizione di sentire il dolore dell'altro”. E noi, insieme a lei, incontriamo lo Straniero "uno che riempie i vuoti solo con la presenza" e ha sul volto "la contentezza che viene dall'impegno delle mani"; che "si preoccupava di avere cura" e "sembrava avesse la capacità di non dire cose sbagliate". Ed "ha il sorriso facile di quelli che hanno già fatto i conti con la vita". Conosciamo la Guaritrice, dal volto coperto di "rughe che raccontavano di espressioni perdute", una donna muta, con “l'espressione di un costante punto interrogativo”, che "è piena di strappi e non ha paura di mostrarli agli altri", che "vive senza paure, come se dovesse farlo per sempre, e raccoglie e rattoppa le fragilità degli altri". Poi c'è la Rossa , "che ha nella bocca e nei movimenti la buona educazione, negli occhi la benevolenza delle anime semplici, ma la spinge la forza delle donne sole". E la Benefattrice. Ma anche il Cane "sempre a far da guardia a chi su questa Terra ancora non ha imparato a starci" e il Gufo, e la Volpe e il Monte: tutti vivi, della stessa vita della protagonista. Perché "La vita batte allo stesso modo in ciascuno di noi e puoi decidere di rispettarla o di non farlo, vie di mezzo non ne esistono".
Marone con le sue descrizioni poetiche ci porta su quella montagna, nel bosco, nella foresta, in riva al lago. Ci immerge nella natura: ascolti gli uccelli cinguettare, avverti il profumo del sottobosco, del muschio, dei funghi, senti il ruminare del capriolo, ti sembra di vedere lo stambecco "aggrappato alla roccia" con "gli occhi guardinghi di chi sa poco". Senti il fischio della marmotta, il bubolare del gufo, il bramito del cervo, il grugnito del cinghiale, il profumo della resina "che splende sulle pigne e lega le dita", senti "l'odore che fa stare bene, quello del pane appena sfornato".
Un romanzo che è la celebrazione del lavoro delle mani “che riempie il tempo vuoto e dà riposo al corpo ed alla mente"; la celebrazione delle cose semplici, del rispetto della natura e degli animali, dell'avere cura, dell'aggiustare, del recuperare, del riparare, della compassione "che dovremmo averla tutti, per ogni essere vivente , fare nostro il sentire dell'altro".
Ed è un inno alle donne, che accolgono, accudiscono, amano e rendono il mondo migliore, come l'autore dice nei ringraziamenti. "Nessuno crede che le donne possano davvero nascondere ali di fata. E decidere così un giorno di volare via".
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