La donna mancina - Peter Handke

 "Abbiamo la sensazione al momento che in testa ci si sia chiarito quasi tutto, ma che ciononostante la vita stia da qualche altra parte. Sentiamo il bisogno di qualcuno che fermi un po' la macchina del mondo, che, in poche parole, dia i numeri". 

 Non avevo mai letto Handke prima d'ora. Essenziale, straniante, una scrittura minimale, ma densa, ricca di descrizioni a tratti poetiche. Il romanzo procede per immagini, quasi del tutto slegare tra loro, ogni immagine è come un fotogramma di un film che viene descritto nei minimi particolari. Sei lì nei luoghi descritti: nella casa con la grande vetrata; guardi fuori "laddove il cielo ventoso riluceva tutto di stelle e quasi si riverbera nello spazio al di là delle stelle"; senti la pioggia che scende, vedi gli aghi di pino mossi dal vento, senti "la candela che sfrigola"; sei "negli stretti corridoi del supermercato dove, se viene incontro una persona, bisogna scansarsi in un passaggio laterale". Vedi la cabina telefonica al margine del quartiere con accanto la cassetta delle lettere. Sei lì ai margini del bosco sotto la neve che cade lenta e guardi nel profondo di esso "dove nulla si muoveva, tanto lieve era il fioccare della neve"; guardi il cielo con " il bordo inferiore ancora giallo, e su quel giallo i rami senza foglie si stagliavano ancora più nudi". 

L'ho letto come guardando un film, precisamente con la sensazione di guardare Il cielo sopra Berlino. Non riuscivo a leggere senza sovrapporre alle parole scritte le immagini, lente, un po' sfocate, in bianco e nero, così dense di umanità di quello che è tra i film che ho amato di più. 

 È la storia di Marianne, "capelli castani e occhi grigi che quando non guardava nessuno talvolta si riempivano di luce, senza che per questo il suo viso avesse a mutare "; Marianne dal viso soave, come se "fosse sempre conscia che si deve morire". Da un giorno all'altro, senza motivo apparente, decide di lasciare il marito e restare sola col figlio e di affrontare e costruire una nuova vita in quella solitudine che inizialmente sembra, forse per un retaggio passatole come per osmosi, terrorizzarla.

Seguiamo Marianne ovunque, in casa, nel rapporto con il figlio, durante il lavoro di traduttrice alla macchina da scrivere, agli incontri con l'amica, con il datore di lavoro, nei momenti con il marito che ogni tanto ricompare, negli incontri con nuove conoscenze, casuali ma importanti, in una girandola di situazioni surreali, talvolta grottesche.

Chi è Marianne? Una donna alla ricerca di sé, stanca di essere un'appendice di un marito che la fa sentire schiacciata ("tu e la tua nuova vita! Non ho ancora visto una donna che abbia cambiato durevolmente la propria vita...."). Una donna mancina, nel senso di diversa, che rompe gli schemi, che non vuole più tradire se stessa. Forte la sensazione di incomunicabilità, di un tempo che trascorre scandito dai silenzi, un tempo in cui ci si sente incastrati, di una solitudine che enfatizza i sensi, che fa da lente di ingrandimento ai più piccoli dettagli della quotidianità, regalando a tutto, anche alle cose prima guardate e non viste, nuovo significato. C'è tanto in questo libro. Tanti temi, tante storie, tanto davvero, in poco più di cento pagine.

C'è un qualcosa di inesorabile, di inevitabile, di profondamente sconcertante ed unico nella lentezza esasperante di queste pagine qualcosa che ha a che fare con la vita, dove qualunque cosa accada "continuiamo tutti insieme, ognuno a suo modo, la vita quotidiana, chi riflettendoci e chi no; tutto sembra andare per la via usata, così come, in casi straordinari dove tutto è in gioco, si continua a vivere come se di nulla si trattasse".



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