Sedici parole - Nava Ebrahimi Recensione

 Non mi era mai successo di ricominciare a leggere un libro appena finita l'ultima pagina. Con Sedici parole l'ho fatto.

Una storia in cui nostalgia e necessità di liberarsi da tutto ciò che impedisce di correre incontro alla vita si mescolano.

Una storia di sentimenti, di tradimenti, di verità taciute e menzogne. E molto altro ancora.

È la storia di Mona, emigrata da piccolissima dall'Iran in Germania, di sua madre, data in sposa a tredici anni a un medico maoista rivoluzionario, papà di Mona, e di Maman borzog, la nonna.

Alla morte di Maman borzog la protagonista, ormai adulta, torna in Iran. Qui riaffiorano sempre più nitidi e prepotenti ricordi del suo passato, un passato di cui poco conosce, grazie a flashback innescati da 16 parole che traduce mentalmente dal persiano al tedesco: ciascuna di esse apre un varco nei ricordi e dà voce a domande sempre taciute, dubbi mai confessati, sentimenti contrastanti e, a poco a poco svelano la verità. "Nel non tradotto l'impostura aveva potuto installarsi a suo piacimento ".

Una storia che si comprende fino in fondo solo nelle ultime pagine.

Sullo sfondo l'Iran, tra tradizioni, storia, oscurantismo, moralismo esasperato e modernità; la condizione della donna islamica, la sharia, la polizia morale che sorveglia e controlla tutto, salvo chiudere in occhio di fronte a una mazzetta. E lo sguardo sognante sull'occidente, terra di azadi, libertà.

Si parla di emigrazione e di integrazione, di quella sensazione di appartenere al posto da cui si parte ma anche a quello in cui si arriva ed a nessuno dei due: di essere attratti e respinti da entrambi i luoghi. Quel sentirsi chub-e do sar gohi (un bastone sporco di merda da entrambi i lati).

Si parla della rivoluzione iraniana, di chi ci ha creduto. "Abbiamo perso. C'eravamo quasi, poi abbiamo perso. Avevamo la vittoria in pugno. O forse no? Non ce l'avevamo quasi fatta? Se la risposta è no, allora tutto è ancora peggio di quanto immaginavamo"; della guerra del golfo, dei tanti giovani che vi hanno perso la vita. "Al cimitero dei Martiri di Teheran. Vi sono sepolti i morti della guerra tra Iran e Iraq. Una volta ho visto le foto sopra le tombe.[...] Cercavo di leggere nei grandi occhi scuri come deve essere quando l'unica cosa che vuoi veramente è baciare una ragazza, e invece ti spediscono al fronte. La maggior parte ha lo sguardo di chi non sa come sia potuto accadere".

Seguendo una mappa costruita con sedici parole, l'autrice ci porta in altri luoghi, in altri tempi, ci fa vedere paesaggi lontani, il deserto e le metropoli, ci fa sentire gli odori e i sapori dell'Iran, ci fa sentire il rumore del traffico e il silenzio di una moschea, il canto del muezzin ed il suo respiro, e ci racconta una storia che si fa fatica a lasciare.



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