Il delitto del pozzo dei pazzi - Antonello Santagata
Un medical thriller con delitto, indagini e colpo di scena finale. Una dichiarazione d'amore per la professione del medico, perché "studiare l'arte medica è un grande onore". Un omaggio alla nostra terra, mia e dell'Autore, il Sannio, culla di storia, bellezza e menti brillanti, quali Moscato, Rummo, Cardarelli, Leonardo Bianchi e tanti altri, personaggi che l'Autore inserisce, con naturalezza, senza alcuna forzatura narrativa, nella trama del suo racconto. Un inno, un inchinarsi al valore, un abbraccio di stima e ammirazione, quasi una richiesta di perdono alle Donne, per quanto, da sempre, sono costrette a subire per riuscire, quando ci riescono, ad occupare il loro posto in questo mondo che è degli uomini e per gli uomini.
"Mia adorata nipote, ho appreso con piacere, ma senza alcuna meraviglia, la notizia della tua iscrizione al corso di laurea in medicina ... la tua decisione di seguire le mie orme professionali".
Comincia così questa storia ambientata negli ultimi mesi del 1939. E in queste parole ho trovato un po' della storia mia e della mia famiglia.
La sorella di mio nonno, nata nel 1885, si è laureata in medicina, come la protagonista. I racconti di famiglia narrano che avrebbe conosciuto il marito grazie all'esame di patologia clinica: studiava sul balcone di casa e il libro le cadde di mano proprio al passaggio di un giovanotto, il quale ha asserito per tutta la sua vita che non fu un caso, ma che il libro fu lasciato cadere di proposito.Comunque sia, galeotto fu il libro ...e si sposarono.
Non poteva aspettare la fine del ciclo di studi, avrebbe corso il rischio di sposarsi "già vecchia", continuò però a studiare, con l'appoggio del marito.
Insieme si trasferirono a Napoli e qui misero su famiglia: zia Giovanna ebbe dei figli, e tutto ciò rallentò il suo percorso di studi, per cui ottenne la laurea solo nel 1917. Poté dunque coronare il suo sogno solo dopo aver eseguito il suo dovere di donna, moglie e mamma. Esercitò comunque la professione come "libera esercente", come si legge sulla sua carta di identità e fu assai stimata.
Tempi difficili per le donne, specie per quelle che volevano studiare e fare professioni appannaggio del sesso maschile!
E oggi?
Sicuramente è stata fatta un bel po' di strada. Ma ce n'è ancora da fare.
Certo, io ho terminato gli studi prima di sposarmi; ho atteso per avere i miei figli: il primo l'ho avuto a 31 anni sentendomi definire, impietosamente, "primipara attempata"!
Ma, esercitando la mia professione, è cosa frequente, ancora oggi che, se in una stanza con me c'e un uomo, un qualunque utente si rivolga a lui come "dottore" e non a me, manifestando spesso delusione, a volte disappunto, nello scoprire che il suo interlocutore, di fatto, sono io.
Ecco, in questo romanzo si parla di una donna, nata alla fine del 1800 che insegue il suo sogno, la sua aspirazione e va fino in fondo; si parla della sua terra d'origine, quell'ameno Sannio, di cui l'Autore ci parla con passione commovente, emozionando il lettore.
Si toccano tanti temi.
Si narra dello storico ospedale degli Incurabili, fondato "nel 1519 dalla nobildonna Maria Lorenza Longo ...fatto erigere da una donna a beneficio di tutte le donne" e di un delitto che ivi si consuma e che vedrà tra gli investigatori personaggi eccellenti quali Antonio Cardarelli e Leonardo Bianchi ed un giovane Giuseppe Moscati.
Si parla del fascismo, delle leggi razziali, dell'atrocità delle guerre "quella orrenda e inutile pazzia "che manda a morire tante giovani vite; dell'Emigrazione di quegli anni, tra le due grandi guerre, in cui "ogni giorno il porto di Napoli era preso d'assalto da decine di migliaia di povera gente, con la valigia di cartone, che prendeva il bastimento per la Merica".
Si parla di depressione, "bestia famelica che ogni giorno divora un pezzettino della nostra speranza" e della malattia mentale, di quel mostro, l'Alzheimer , che divora un po' alla volta la memoria, l'identità, la dignità.
L'Autore, con uno stile fluido, utilizza l'espediente narrativo del romanzo epistolare, rendendo in questo modo quasi intimo il rapporto tra la protagonista ed il lettore; la trama, tra i ricordi di giovinezza della protagonista e il racconto dei fatti contingenti all'epoca delle lettere, è serrata e cattura chi legge.
Chiudo queste note con un augurio per tutte le giovani donne che si affacciano alla vita e hanno un sogno da realizzare, un obiettivo da perseguire:
"Corri, bambina, corri…, tu che hai buona la testa, le gambe e il cuore.
Corri senza rallentare davanti agli ostacoli, alla stanchezza, alla nostalgia (che pure talvolta ti coglie) del tempo della lentezza e della protezione.
Corri per arrivare dove avevi deciso, per soddisfare il tuo sogno e la tua ambizione. La modestia, la rinuncia alle proprie ambizioni, se pure riuscirono, segretamente, a nutrirle, fu il connotato delle donne delle generazioni che ti hanno preceduto, donne educate alla modestia e alla rassegnazione, a mettersi al servizio dell’ ambizione del maschio della famiglia, fosse il marito, il fratello, il figlio. Tu sei diversa, tu hai deciso di arrivare dove ti sei proposta.
Tra le donne che oggi hanno successo, molte portano nomi illustri. Hanno successo, dunque, per diritto ereditario. Tu non hai un nome illustre, né una famiglia importante alle spalle, ma hai buona la testa, le gambe e il cuore.
E hai diritto a correre, e ad arrivare prima se la corsa non sarà truccata.
Noi, della generazione che è venuta prima di te, una generazione che si è impegnata nella corsa, che spesso ha vinto, che più spesso ha perso, ti daremo una mano, se ce la chiederai. Ma tu devi sapere che hai diritto a una corsa non truccata, che hai diritto al successo".
Miriam Mafai, 8 marzo 2011.
Complimenti Loredana,leggerò il libro,ma il tuo commento mi è piaciuto molto, scrivi bene,grazie
RispondiElimina