Le madri non dormono mai - Lorenzo Marone

“[…] ho capito pure un’altra cosa, che la gente non se ne fotte niente perché non conosce, perché quando incontri una persona e le vuoi bene allora te ne importa […] io ti ho incontrato, e ti ho conosciuto, e ora ci tengo assai a te. E quindi penso che bisogna muoversi e incontrare a tutti quanti nella vita perché se no non vuoi bene a nisciuno, ma allora che campi a fare?”

Ecco. Lorenzo Marone, con la sua scrittura come sempre piacevole, dolce e toccante, ci fa conoscere la realtà di un Icam. E una  volta che la conosci non puoi più girarti dall'altra parte.
Una realtà triste, carica di dolore, miseria, angoscia, rabbia, solitudine, dove, nonostante le attenuazioni delle misure detentive, si è comunque privati della libertà, dove le detenute condividono la carcerazione con i loro bambini. Ma spesso, anche l'unico luogo in cui quelle donne, possono finalmente avere la certezza che i figli siano al caldo, abbiano cure e cibo, lontani dai loro quartieri degradati, lontani dai pericoli, dalla cattiveria, dalla violenza, dal disincanto e dalle brutture che fuori li fagocita, li rende duri, senza sogni e senza avvenire.

"Diego non poteva capire che per sua madre, e per quelli come lei, la pace non pretendeva bellezza, non era da ricercare, era da afferrare con forza, era uno spazio piccolissimo, un pertugio, la sigaretta che toglie per un attimo dai brutti pensieri, la sera che t'obbliga finalmente alla resa e ti fa stare nel tempo da spettatore, era uno scippo alla giornata, alle bestemmie e alle preghiere, lo sfregio alle ansie."

Paradossalmente, nell'Icam le detenute sono finalmente libere: libere dalla miseria, dal freddo, dalla fame; libere dalla paura, libere dal protettore o dal compagno violento.

E qui, in carcere, donne tra donne, accanto a piccole tribù di bambini di ogni razza colore ed età ,"donne uguali [...], mute, anzi, mutilate, corpi vuoti, anime silenti e rabbiose, che per poco amore ricevuto si erano fatte aride, dure come la scorza del pane vecchio", donne in cui "non c'era traccia di ammirazione per sé, (...) indifferenti a ciò che conta, quasi l'esistenza loro e dei figli fosse una delle tante cose sulle quali non si ha potere", proprio qui, cominciano a credere in se stesse, a immaginare un futuro per loro e per i loro figli, a sperare, a sognare che qualcosa di buono possa ancora accadere.

Tanti personaggi. Miriam e Diego, Amina e Gambo e Adamu, Anna e Jennifer, Melina, Dragana: tante storie di dolore, disperazione, violenza, paura, emarginazione, degrado.

E accanto alle storie delle detenute tante altre storie di vita, di chi, per lavoro o per volontariato, orbita attorno al carcere.

Greta, Antonia , Miki, Vittoria, tutti liberi ma prigionieri. Perché "per molti, la libertà è la facoltà di scegliere le proprie schiavitù".

Tante sono le prigioni nella vita degli individui: la famiglia, l'educazione ricevuta, un amore tossico, un senso del dovere esasperato, l'abitudine, la paura di cambiare, le aspettative altrui, gli abiti che la società ci ha cucito addosso e, talvolta la stessa idea che abbiamo di noi stessi.

La vita nel carcere sembra una favola, tanto che leggendo ti trovi a immaginare un lieto fine.... ma fuori, non è cambiato nulla.

Chiuso il libro, sopra tutti mi resta il ricordo di Melina, bimba sensibile, saggia e dolcissima, piccola ma dal cuore grande, innamorata delle parole belle.
E così, come dopo aver letto "La tentazione di essere felici" mi rimase il desiderio di appuntare ogni giorno in agenda un qualcosa che "Mi piace", Melina mi fa venir voglia di salvare ogni giorno una parola "bella" tra quelle dette, lette o ascoltate.

"a chi, prigioniero per nascita, si inventa il modo per essere libero".



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