Che razza di libro! - Jason Mott

 "Questa è soprattutto una storia d'amore. Non ve lo scordate mai".

Amore dell'Autore per se stesso, per il bambino che è stato, per la sua gente, per i bambini che, come lui, nascono con una storia già scritta, da secoli, nel colore della loro pelle.

Una scrittura straordinaria, fresca, profonda e lieve al tempo stesso. Commuove e fa sorridere, indigna e fa riflettere.
Ironico e dolce, brillante e malinconico, intelligente e pieno d'amore.

Una richiesta, una speranza:
"Voglio che tu mi veda", che smetti di voltarti dall'altra parte, che smetti di dimenticare appena la notizia non è più in prima pagina, che smetti di pensare che è sempre stato così e sarà sempre così e non puoi farci nulla.

Un libro per "tutti quelli che hanno imparato a cantare in un mondo che non vuol sentire la loro voce".
Per tutti i neri, d'America e non solo "che cercano di ricordarsi della loro bellezza".
Perche "imparare ad amare te stesso in un paese dove ti dicono che sei una piaga per l'economia, che non sei altro che un potenziale carcerato, che la tua vita ti può essere tolta in qualsiasi momento senza che tu possa farci niente...imparare a volersi bene in tutto questo? Cazzo, è un miracolo ".
Un libro per "Emmet Till, Timer Rice, Michael Brown, Philando Castile, George Floyd e tutti gli altri che verranno aggiunti all'elenco dell'America [...]nomi sospesi sopra noi come quel famoso strano frutto che cresce  sugli alberi del sud".
Una storia di "dolore e perdita, di schiavitù e oppressione".

"Tutta la nostra storia parla di dolore e perdita, di schiavitù e oppressione. Ci definisce. Ci affonda nella pelle. È nel nostro sangue, anche se ne siamo coperti. Vogliamo solo essere diversi dal dolore in cui siamo nati. Vogliamo solo essere conosciuti per qualcos’altro. Vogliamo la grande storia che vediamo negli altri, invece riceviamo soltanto una storia di dolore che siamo costretti a superare".

La storia dei neri d'America, e della loro paura.

"La Paura. Mi teneva un pugno nello stomaco e non mollava. Avevo la sensazione che il mio corpo non fosse più mio. Che forse non era mai stato mio. Che potevano portarmelo via in qualsiasi momento e io non potevo farci niente. [...]Ecco cos’era la Paura, alla fine. Da cosa derivavano tutte le paure delle persone con la pelle di un certo colore che vivevano in un certo posto. Ma non era solo una paura, era una verità. Una verità dimostrata da generazioni. Una verità tramandata attraverso il mito e il mandato politico, dal passaparola alla legge. Ci sono corpi che non sono di chi li abita. Non lo sono mai stati e non lo saranno mai. Una verità persistente, inevitabile, spaventosa, conosciuta da milioni di corpi sfollati. La Paura. C’era sempre stata, ma ora riuscivo a vederla. A riconoscerla. E quando succede, quando la vedi, non puoi più distogliere lo sguardo. Non puoi zittirla. Non puoi mai dimenticare che non appartieni più a te stesso, ma alle mani, ai pugni, alle manette e ai proiettili di uno sconosciuto".



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