Lapvona - Ottessa Moshfegh

 "E il paradiso, Ina? Non vuoi andarci?"  "Non importa" disse lei. "Non conoscerò nessuno."

Una fiaba nera, grottesca, dai toni cupi, inquietanti, che trasmette ansia, angoscia, un forte senso di solitudine e di smarrimento.
Tratteggia in modo disturbante, violento, crudo, la natura peggiore dell'umanità.

"Quando Dio ti dà più di quanto puoi sopportare, ti affidi all'istinto . E l'istinto è una forza fuori da ogni controllo".

Lapvona è un villaggio medioevale, dall'atmosfera surreale, dove il tempo passa sempre uguale, scandito dalle stagioni e dai raccolti che, troppo spesso, per freddo o troppe piogge, o troppo caldo e siccità, non sono abbondanti.
Qui il Male assume di volta in volta l'aspetto di un prete senza scrupoli e senza alcuna conoscenza della Bibbia, che terrorizza il popolo con racconti di fiamme dell'inferno e punizioni divine, o di un gruppo di banditi che porta morte e distruzione, o di un padre, una madre, un figlio, un amico...
Le donne sono poco più che oggetti: "sapeva che combattere era inutile. Essendo donna, avrebbe sempre perso".

A Lapvona regna un signorotto bifolco, Villiam, avido e arrogante, senza senso e sentimenti, noioso ed annoiato, perennemente in cerca di piacere agli altri e di piaceri per sé.
E c'è un popolo bigotto, schiavo di una religione-superstizione che lo porta a subire terrore, fame, violenza, soprusi confidando nella ricompensa del paradiso.
E ci sono Ina, la "strega" senza tempo e senza età che conosce le erbe e le loro proprietà curative e parla con gli uccelli; Marek il ragazzo storpio che da figlio di pastore si ritroverà signore di Lapvona; il vecchio Grigor che sogna la libertà...

Lo stile si addice perfettamente al contenuto, crudo, scarno, essenziale.

"È strano che il fuoco scotti quando lo si tocca. Il fuoco è luce. Non dovrebbe essere il buio a far male?"



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