La luna e i falò - Cesare Pavese

 Di tutto quanto, della Mora, di quella vita di noialtri, che cosa resta? Per tanti anni mi era bastata una ventata di tiglio la sera, e mi sentivo un altro, mi sentivo davvero io, non sapevo nemmeno bene perché [...]

I ragazzi, le donne, il mondo, non sono mica cambiati. Non portano piú il parasole, la domenica vanno al cinema invece che in festa, dànno il grano all’ammasso, le ragazze fumano – eppure la vita è la stessa, e non sanno che un giorno si guarderanno in giro e anche per loro sarà tutto passato.

Tanti anni sono passati da quando, studentessa del ginnasio, ho letto la prima volta "La luna e I falò". Mi piacque tanto, ma oggi posso dire di aver letto un altro romanzo.
Il senso di profonda nostalgia, la consapevolezza del tempo che passa, il sentimento di perdita di persone, luoghi, ideali, il peso delle delusioni e delle disillusioni, la malinconia che pervade le pagine insieme al desiderio di sentirsi parte di qualcosa, tutto questo che riesco a "sentire" oggi, che mi ha attraversato pagina dopo pagina, non lo potevo avvertire a 15 anni.

"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere mai soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Questo paese, dove sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo".

Seguendo il flusso di coscienza del protagonista, il lettore fluttua tra presente e passato, dagli anni prima della guerra, gli anni del fascismo e della lotta partigiana, tra eventi, descrizioni sensoriali di paesaggi, profumi e suoni, tra ricordi e riflessioni.
Lo stile è essenziale, quasi brusco, ma allo stesso tempo di un lirismo commovente.
Immaginifico e poetico già il titolo con la luna misteriosa e lontana che dall'alto influenza i ritmi delle coltivazioni e la vita degli esseri umani ed i falò simbolo quasi magico di festa, di riti, ma allo stesso tempo portatori di morte e distruzione.



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